
Cos’é il dubbio
E’ l’anima del nostro vivere, la molla del quotidiano darci da fare, è la causa dell’errore e il fondamento della verità; è la spinta a ricercare, riflettere e ripensare, ma anche a desistere momentaneamente.
Solo a voler scomodare qualcuno, Cartesio poneva il dubbio come stimolo alla riflessione e, nel porsi come incertezza, era l’unica certezza del nostro esistere come pensiero. Prima di lui Socrate, nel sapere di non sapere, non era, poi, certo di cosa sapesse e, se ciò che pensava di sapere, lo sapesse davvero. Così diventava dovere di ciascuno mettersi idealmente in cammino, in movimento logico, per ricercare in se stesso le piccole e grandi certezze nonché la loro possibilità di essere davvero tali e per tutti.
Unica certezza, pare, fosse quella di cercare “ in noi ” e non fuori di noi:
“ Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas.”
Non uscire fuori, rientra in te stesso: nell’interiorità dell’uomo abita la verità; non affannarti a cercare il vero fuori da te, nel fenomenico, ma cercalo dentro di te, nel profondo del tuo essere perché è lì che si annida la verità.
I Sofisti, però, ci avevano ammonito spiattellandoci in viso che la verità non è “una”, ma possono essere tante, tante quanti sono coloro che la cercano perché il mio “vero ” può non essere il tuo, il suo “vero”. L’uomo è la misura di tutte le cose, di quelle che sono e di quelle che non sono.
Chi di noi è sicuro di essere bello, buono e bravo sempre? Non ci capita di sentirci a volte belli, altre volte non belli? Buoni e bravi un giorno sì e un giorno no?
I colori del nostro abbigliamento non risentono, forse, degli umori del momento, della giornata, della situazione, dello stato d’animo?
Discorrendo con altri siamo certi di aver detto quello che pensavamo e non, invece, ciò che piaceva all’altro di sentirsi dire?
E di sentirselo dire proprio da noi? Un’amicizia quanto dura? Una vita? O di più, di meno a seconda…
A seconda che? E l’amore è uno o, come cantava Toto Cutugno, “…Quanti amori!”, cioè tanti? E perché eravamo sicuri di un amore fintanto che è durato e non lo siamo più quando diciamo che è finito? Più o meno tutti sosteniamo di essere fedeli e sinceri con gli amici che frequentiamo. Siamo sicuri anche della loro fedeltà e sincerità? Non pensiamo, magari, che “ quello ” o “ quell’altro ” non sempre ce la raccontino giusta?
Siamo sinceri: non confidiamo i segreti secondo la loro tipologia e il loro contenuto? Voglio dire che certi segreti a Pierino sì e a Pierotto no e viceversa; e perché mai lo facciamo? Solo e soltanto perché il tarlo del dubbio ci fa scegliere o non scegliere, a seconda della situazione, il più e il meno “sicuro” in quanto a comprensione, a segretezza, a disponibilità.
Che cos’è, allora, il dubbio se non la conclusione di uno stato momentaneo di certezza e la spinta verso un altro stato di certezza, anch’essa momentanea?
Anche le scelte politiche sottostanno al dominio del dubbio. Il proliferare di sigle, movimenti, gruppi cos’è se non il risultato di “dubbi” che portano a dissociarsi dal grande movimento o partito?
L’insinuarsi, negli adepti, del tarlo del “dubbio” sposta la certezza oltre, al di là del movimento, del gruppo, del partito collocandola nella nuova formazione.
Si può fare a meno del dubbio? Credo proprio di no perché il dubbio è nel creato. Perché c’è il giorno e la notte, il caldo e il freddo, la pioggia e la siccità, l’uomo e la donna? Dio creò l’uomo e, immagino, che al momento, fosse soddisfatto tant’è che si dedicò, subito dopo, ad organizzargli il Paradiso dell’Eden, a Oriente.
Perché a Oriente? Perché, potendolo organizzare anche ad Occidente o a Settentrione o nel Meridione, “ ritenne opportuno ”, “ credette ” nell’adeguatezza dell’Oriente, dubitando dell’adeguatezza delle altre collocazioni.
Dopo aver dato vita al Paradiso dell’Eden, il Signore Dio pensò: “Non è bene che l’uomo stia solo: gli voglio fare un altro aiuto che gli sia simile. Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli e li condusse all’uomo per vedere come li avrebbe chiamati…
… Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l’uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile…
… Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una costola e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo.
Allora l’uomo disse:
“Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa perché dall’uomo è stata tolta” (Genesi 2, 18-25).
La grandezza del “Signore Dio” è in tutto e lo è anche nel “dubbio”, allorché ha immaginato che Adamo fosse soddisfatto. Si è superato, però, quando ha risolto il dubbio con la certezza della creazione di Eva, la compagna di Adamo.
Adamo sembrava non avesse dubbi, sul momento, ma solo sul momento; Eva, invece, nel dubbio ha mangiato la mela!
-Enea Di Ianni-
